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Il
Castigo Esemplare
niente.
niente chiacchiere inutili. niente presentazioni di ogni
sorta. niente. solo musica, noise e pura voglia di
sperimentare. E qua, il termine "sperimentare" ci
sta tutto. Quattro componenti, ognuno porta con sè un
bagaglio musicale per niente banale, saltando senza pensarci
due volte da John Zorn ai Fantomas, dai Mr.Bungle ai Primus,
dai Sonic Youth ai Ruins, da Morricone a Sanders e Garbarek..riassumendo
poi il tutto in "Pulp Music". Niente. Niente chiacchiere
inutili, una sola session di 40 minuti, tagliata in nove
piccoli (mica tanto..) pezzetti per renderla più potabile.
Uno sguardo comune a Frank Zappa e l'album scivola, frastagliato
come un lavoro che sa tanto di progressive inzuppato all'interno
di un pò di art rock e un pò di jazz. Questo
lavoro è un colpo dritto allo stomaco, dato dall'omino
della figura in alto, sferrato con il pugno della pistola.
non fa male, ma lascia il segno. ti fa pensare, pensare a
come è bello sperimentare sapendo che pochi ti capiranno.
Vi piace l'idea? L'album è finito.
Lakrima667 (Acidi
Viola)
Il
Castigo Esemplare
C’è un
po’ di onomatopea nella musica
del quartetto romano; post jazz noise rock che, per via del
sax di Gabriele Mengoli, ci ricorda il primo Thin Huey in
versione strumental incupita. Trattasi di un’unica
session che è stata suddivisa in nove tracce per facilitarne
l’ascolto. Ricco di citazioni – Zorn qui, Blurt
là, progressive di sopra, Zappa di sotto, post rock
a destra (traccia #7) e Zu a sinistra-offre segmenti sperimentali
quasi free alla Krayola. Disco potente, energetico, stimolante
ed erogeno al naturale. (7) e più.
Dionisio
Capuano (Blow
Up n.96)
Il
Castigo Esemplare
Un concentrato di energia e creatività per la nuova band romana
Una ventata
d'aria fresca. Difficile definire in altro modo i Thrangh,
un gruppo già maturo per un disco ufficiale
che nel demo d'esordio sprigiona un'energia e una frenesia
davvero eccitanti. Prendete Mr. Bungle e King Crimson, Area,
Primus e John Zorn, miscelate per bene dopo aver bevuto abbondante
tequila: ecco a voi "Il castigo esemplare"!
Trattasi di un demo costituito da un unico brano diviso in
nove tracce, che scorre fluido per quanto spigoloso, isterico
e imbizzarrito sia il sound del quartetto. Come se fossero
gli Anatrofobia più educati - o dei Deadburger più maleducati
- i Thrangh entrano di diritto in quella scarna enclave di
gruppi (i due già menzionati, poi Memoria Zero, Zu,
A Spirale, Snakioplatz) che fanno un prog inconsapevole mescolando
art rock, jazz, hard core e psichedelia con abilità e
disinvoltura. Perchè di spirito progressivo si tratta,
quello che non prepara la suite a tavolino ma fa progressione
vera, sparpagliando ritmi ed armonie, spezzettando il suono
e ricostruendolo sotto forma di funk incalzante, di lunatica
psichedelia, di free jazz urlante.
Chitarre taglienti e incisive, fiati che scappano via dappertutto,
una solida base ritmica che permette di cavalcare a passo
serrato: questo il leit-motiv del Thrangh-sound. Un'aggressione
in piena regola. Ma non selvaggia bensì meditata ed
efficace. Seguendo la traccia lasciata anche da Tuxedomoon,
Wire, Akineton Retard e Fantomas, i romani sfoderano un sound
internazionale, poco italiano. Se riuscissero a renderlo
ancora più personale sarebbe perfetto. Da non sottovalutare
la possibilità di scaricarlo gratis dal sito ufficiale.
Eccellenti e sfrontati, i Thrangh arrivano proprio al momento
giusto. Per le nostre orecchie distratte e per la nostra
decadente curiosità, questo è il castigo esemplare.
Donato
Zoppo (Movimenti
Prog)
Questa è musica... mica cazzi!
Alpheus
(Questa è Roma mica...vol.3) 18/12/2005
In una scaletta che prevede principalmente gruppi hardcore e deviazioni limitrofe, i Thrangh
sono il break necessario per decomprimere le pulsazioni cardiache.
Questa recensione non vuole essere un dettagliato resoconto tecnico (non ci interessa),
neanche la stucchevole lista di ogni brano presentato (pratica giornalistica vetusta e con
non interessa più a un cazzo di nessuno) ma solo l'esaltazione convinta di un quartetto che
dopo un anno di vita (ora in più ora in meno) ha raggiunto la propria fifth dimension.
Quante volte nel linguaggio musicale avete trovato la similitudine di una band con un
"treno"?. Quel gruppo tira come un treno. E' un suono diretto come un treno... e bla bla
bla. Io credo centinaia di volte. Aspettate perchè io sarò il 101esimo. Ma sono i Thrangh a
decodificare il loro suono e a paragonarlo ad un convoglio su rotaie. Lo fanno in modo
naturale quando iniziano la trance. Seppur solo con un quarto d'ora a disposizione (ma chi
lo ha detto che la distanza breve non sia la vera anima dei quattro?) riescono in maniera
magistrale a compiere il proprio viaggio che terminerà - come sempre - con l'urlo
primordiale del chitarrista Jimbo. Il treno parte. Con lentezza. Rumori metallici sempre più
intensi. Prende velocità per raggiungere il suo unico scopo: arrivare a destinazione. Non
può avere ostacoli. L'avanguardia nella quale sguazzano i nostri è puro liquido amniotico.
Il treno rallenta. Ecco le curve. Sbuffa e sferraglia. Siamo cullati dal movimento. Non c'è
scampo. Non si scende. Il buio della galleria è paradossalmente una luce. In fondo c'è quel
puntino bianco. Il viaggio è finito. I Thrangh fanno scendere i passeggeri. Applausi
convinti. Basta cazzate è il fischio alla stazione centrale.
Che siano amici non ce ne frega un cazzo. Ci interessa farVI sapere che questi ragazzi sono
grandi. Speriamo che qualcuno raccolga l'eco del loro talento.
Che il castigo sia con voi.
Emanuele Tamagnini (Nerds
Attack!)
L'Eleganza
dei Castigatori
Un sommovimento nel panorama musicale capitolino e nel transgender sonico. Che sia jazz,
noise o post-core, resta un Castigo Esemplare
Nha Trangh è lontana,
lontanissima. E' la città vietnamita da cui i Thrangh, quartetto
romano (chitarra-basso-sax-batteria) prendono il nome. Eppure la pronuncia rimanda
a un
contatto ravvicinato, a uno scontro fragoroso. Forse i Thrangh nascono dalla
commistione tra
aneliti preziosamente astratti e l'urgenza di una comunicazione diretta, semplice,
carnale.
L'attività concertistica concentrata negli ultimi sei mesi e questo demo, presentato
da
un'artwork stilizzato e sanguigno, rivelano la raggiante violenza e il rigore
di nove pezzi
senza nome. Non c'è nominalità, programma, o ideologia in queste istanze sincopate,
succose,
solo a tratti distese e mai realmente melodiche. Il sassofono motteggia, graffia
e sospira
su eterni vortici chitarristici, il basso approfondisce una gioiosa cupezza e
la batteria
completa il quadro nella sua costante tensione estetica.
Quella dei Thrangh è una ricerca che trae la sua forza dal dichiarato non
professionismo
dei
suoi componenti, che si approssimano alla costruzione armonica inseguendo il "diletto"
nobilmente inteso, eppure catturano le orecchie e i sensi di una larga utenza:
colpiti
dall'incandescenza del primo ascolto, gli ascoltatori potranno giocare a scovare
le più
disparate influenze (molte dichiarate), a coltivare il ricordo della psichedelia,
dell'improvvisazione jazzistica meno scolastica, a immergersi in una fitta tessitura
di
rievocazioni e sottili citazioni. A parte quelle veloci note, scoperte, di Light
my Fire dei
Doors.
Forse proprio attraverso un'ossessiva ricerca di elementi fondatori, di indizi
che
smascherino le origini (spesso definite dai musicisti "omaggi" alla musica che
hanno
ascoltato e amato), le composizioni dei Thrangh emergono come un assemblaggio
sovraccarico
di stili e momenti paradossalmente originali.
Chiara
F. (RockShock)
INTERVISTA
AI THRANGH
Una
mazzata fra capo e collo che seduce, abbandona, lacera, fermenta
e incenerisce. Ma con
grande stile e gradevole irriverenza.
Inizierei col dire che la musica dei Thrangh mi appare pregna dell’atmosfera
tipica degli
incubi. Lo affermo perché ho provato ad ascoltarvi chiudendo gli occhi ed assecondando
il
libero flusso di coscienza che i suoni ispiravano. Il risultato è stato un’esperienza
densa
di paradossi, simboli, allegorie. Qual è il segreto per imbrigliare tutto questo
nella
musica?
(J)
Se consideri che quasi la maggior parte dei brani nascono
da improvvisazioni collettive,
senza premeditazione alcuna, si può dire che l’evocatività della nostra musica sia una
specie di coesione dell’inconscio di quattro menti. E’ normale che il frutto sia ricco di
simboli e allegorie, dato che questo è il linguaggio dell’inconscio, sogni o incubi che
siano.
Domanda di rito: quali sono le coordinate sonore che hanno in maggior misura influenzato la
vostra attitudine compositiva?
(B) Oltre ad una comune passione per Zappa abbiamo ascolti molto diversificati,
ma
certamente gli artisti ai quali guardiamo con più ammirazione e che, probabilmente,
ci hanno
un po’ influenzato sono i “soliti rumorosi”: Zorn, Fantomas, Mr. Bungle...
(G) ... O.Coleman, Garbarek, Art Ensemble Of Chicago, Surman, James White,
Sanders, Ayler
...
(B) ... Morricone, Ruins, Guapo, Sonic Youth, DNA, Glenn Branca, Slint, Primus
...
Un aspetto che personalmente ammiro molto dello stile Thrangh è il rapporto che
ogni
componente del gruppo ha col suo strumento. Mi riferisco al fatto che tutti e
quattro
dimostrate ottime doti tecniche ed al contempo un’attitudine iconoclasta, irriverente.
Quindi mi domando se sovvertire le regole del “buon gusto”, piegando con l’intelligenza
creativa le convenzioni musicali sia per voi un più un esercizio logico (e quindi
studiato)
oppure una naturale inclinazione alla schizofrenia (è un complimento)…? (J) Credo che la seconda ipotesi sia senza dubbio la più attendibile.
Mi è capitato più di una volta di notare che le persone, per descrivervi
alla buona, vi
associno automaticamente agli Zu. Quanto condividete questo punto di vista? Vi
fa piacere o
vi da fastidio?
(J) Senza dubbio è un enorme piacere essere accostati ad un nome così importante,
anche se
non mi sembra di avere molto in comune con gli Zu, se non forse una certa attitudine
punk,
un certo compiacimento nel vedere un muro cadere a pezzi.
(G) Gli Zu spaccano il culo, noi al massimo lo graffiamo.
Quando avete suonato in occasione della serata di Novamuzique, sulla
locandina, sotto il
vostro nome c’era scritto “pulp music”. Come nasce questa curiosa definizione?
(J) Pulp, nel gergo filmico, è una miscela disordinata di elementi discostanti
e dissimili
fra loro, condita da una buona dose di violenza e di sfida all’istituzione scolastica.
Una
definizione del genere ci si addice di più rispetto a avant-rock, jazz-core,
ecc. (G) In effetti siamo spesso accostati a gruppi provenienti da diverse realtà e
questo ci
gratifica alquanto. Ovviamente il fatto di cercare di fondere diverse correnti
musicali in
un unico pezzo ha la sua giusta definizione con la parola “pulp”.
Premettendo che il vostro sound è a mio avviso perfetto così com’è, avete
mai pensato a
comporre dei brani cantati? E se questo succedesse che tipo di cantato dovremmo
aspettarci?
(G) Niente parole, solo grida.
(B) All’inizio volevamo introdurre nella band una ragazza giapponese con voce
aquilina che
facesse live electronics... una specie di ibrido Ikue Mori/Diamanda Galas...
non avendola
trovata siamo stati costretti a diventare un gruppo strumentale. Ma non abbiamo
perso la
speranza!
Cosa pensate della scena underground romana? Esiste fra i musicisti capitolini
una cultura
di coesione e collaborazione oppure ci si deve scontrare ancora con arrivismo,
inutili
competizioni e gelosie da quattro soldi?
(J) Non credo si possa parlare di arrivismo in una scena in cui i soldi non
girano, ho
sempre conosciuto persone con una passione genuina per la musica e senza secondi
fini.
Questo favorisce di sicuro la coesione.
(B) Negli ultimi tempi il livello delle band in circolazione si è notevolmente
alzato e
credo si stia diffondendo una certa sensazione di aggregazione intorno ad un’idea
comune di
“scena capitolina”. In effetti, dopo anni di rassegnata mentalità provinciale
(tribute
bands, karaoke, piano bar, ecc...) ho l’impressione che Roma si sia “accorta” di
essere una
grande capitale europea in grado di produrre cultura. Va riconosciuto che gli
Zu (una delle
poche realtà musicali italiane che abbiano un’eco all’estero) rappresentano un
forte traino
in tal senso.
(G) Fortunatamente la scena e il pubblico sembra che siano in costante crescita.
Direi,
inoltre, che c'è molta coesione; infatti siamo amici e stimiamo molto i gruppi
con cui
abbiamo suonato finora: Squartet, Inferno, Nohay Bandatrio, Tikal, Dispositivo
per il lancio
obliquo di una sferetta, Dada Swing...
Parlatemi dei vostri progetti futuri…e se volete, anche dei vostri progetti
passati..
(G) Futuri: rinnovarci costantemente esplorando diverse realtà, mantenendo comunque
il
nostro approccio compositivo.
(B) Siamo tutti appassionati di cinema, e credo che la cosa che ci piacerebbe
di più in
assoluto sarebbe poter comporre una colonna sonora originale per un film. Avevamo
anche
pensato di realizzare un adattamento filmico della “Metamorfosi” di Kafka ma,
in effetti,
non abbiamo ancora nemmeno scritto la sceneggiatura.
Vi ringrazio del tempo che mi avete dedicato e spero di ripetere presto questa
piacevole
chiacchierata. Scrivete pure quello che vi passa per la testa.
(J) Erzefilish (Educazione=Sifilide).
P7 (NovaMuzique)
Il
Castigo Esemplare
Recensione
Demo
Negli ultimi
tempi è praticamente impossibile girare per i concerti a
Roma, senza imbattersi almeno una volta nei Thrangh. Anche
nel caso in cui si decidesse di starsene sempre e solo al
bar con le orecchie tappate e il cappotto abbottonato però,
già vedendo i generi assolutamente agli antipodi di tutti
gli altri gruppi con cui, di volta in volta, i nostri suonano
(Dada Swing, Inferno, Melt banana, Cat claws, No Hay Banda…),
potrebbe cominciare a insinuarsi un leggerissimo sospetto
sul grado di ragguardevole eclettismo che caratterizza questa
band basso-chitarra-sax-batteria-oriented.
Vi ammettiamo
che, in parte, mal sopportiamo i forzati del crossover a
tutti i costi e, volendo, pure a Mike Patton (nonostante
i dischi da paura che ha fatto…) non è che gli si voglia
troppo bene per tutti i mostriciattoli che è riuscito a portarsi
dietro suonando il piffero magico… Non apprezzare i Thrangh
dopo aver ascoltato il Castigo Esemplare però sarebbe troppo
un esercizio da zappiani-snob in astinenza da Zorn. Tanto
più, che specie dal vivo, i nostri dimostrano ogni volta
e senza ombra di dubbio di essere quattro musicisti tecnicamente
esemplari con un bagaglio di ascolti alle spalle praticamente
sterminato, da cui riescono ad attingere con una forza e
un tempismo ineccepibile. Grazie al loro tocco impeccabile,
e a questo punto possiamo anche dirlo… ad un talento innegabile,
per una volta non si ascolta noise-jazz-funk-metal-etc uno
dopo l'altro in trenta secondi… ma noise-jazz-funk-metal-etc
uno SOPRA l'altro in temi musicali sovrapposti e sempre organici.
Non sono ignoranti e zozzi come gli immensi Zu, ma su questo
pensiamo che incida anche la composizione degli strumentisti
e una scelta generale di non-direzione musicale. In bocca
al lupo.
La prossima volta ci si porta i soldi per il guardaroba.
Federico
Vignali (Movimenta)
La notte della risacca atomica
Circolo
degli Artisti 24/10/2005
Al quartetto
onomatopeico romano il compito importante di aprire una
serata - nelle previsioni -apocalittica. Dalla prima volta
all'ex
Sonica ad oggi il jazzcore dei nostri compagni di vita
ha assunto caratteristiche precise ed una vitalità compositiva davvero invidiabile. Sax-chitarra-basso-batteria si fondono lucidi e serrati in una mezz'ora di assoluto terrorismo musicale dove si aprono vividi squarci di improvvisazione e manifesta (erudita) cultura musicale. Non c'è odore di noia, di snobbismo, di settorialità. C'è un'amalgama melodica spruzzata a mano tra uno spartito rigido ed algido allo stesso tempo. Il pubblico - che pian piano gremirà in ogni dove il Circolo - apprezza, si entusiasma ed applaude convinto. Onore ai conquistatori. La Citta è NUDA.
Emanuele Tamagnini (Nerds
Attack!)
NOVAMUZIQUE
NIGHT (18/10/2005)
Al
Coetus Pub di via dei Volsci a Roma una seratina cult per
palati sopraffini
I THRANGH (intervistati su questo stesso numero da p7), come
già noto a molti seguaci dell'underground romano,
sono vincitori dell'ultima edizione romana del Martelive,
evento di "raccolta" di molti validi gruppi emergenti.
I Thrangh viaggiano a tremila su binari borderline. Borderline
come lo erano i Naked City (tra jazz & hardcore) o come,
spostandoci di dimensione, potevano esserlo gli italiani
Perigeo (tra jazz & rock). Denominatore comune quindi
il jazz… più freak che free. Gli inclassificabili
ThRangh rappresentano un caleidioscopio senza tempo di espressioni
affini, da funk a free jazz infetto da selvaggio hardcore.
La corposità del loro suono è sublime. Da inafferrabile
a crepuscolare, il quartetto raggiunge anche muri di saturazione
che celebrano l’idilliaco noise.
Ma qui siamo anche dalle parti degli storici GOD, per cupezza
e ossessionata persistenza di alcuni giri (una capatina negli
Inferi?), o in prossimità dei Painkiller, per stacchi
frenetici, delirio improvvisato
e “compressione” espressiva (tra John Zorn e
Milano Calibro ).
THRANGH è un combo romano di non professionisti che
suonano da professionisti, un coacervo strumentale di “strutturata” devastazione
sonora, un’ onda sonora anomala. La dimensione pub
mi gratificava, l’atmosfera era autentica, interessata.
Dal vivo proprio una Esperienza Esemplare in cui, rispetto
alle registrazioni (scaricabili anche dal loro sito www.thrangh.it),
il suono si compatta e amalgama in un impasto sonoro inesorabile…
Strumentalità animale senza scrupoli. Ottimi!
“
Pulp music” è una definizione che non esiste
ma che si adatta perfettamente al loro “mood”.
Antz (NovaMuzique)
INTERVISTA AI THRANGH, VINCITORI DEL MARTELIVE 2005
24/09/2005
Hanno vinto
i Thrangh. Ha vinto il baccano degli inferi, la destrutturazione
armonica di una creatività musicale
distorta e per questo incredibilmente originale. Ha vinto
una ventata di novità e di sperimentalismo, una concezione
di musica che è vita perché freme di pulsioni
umanissime verso un disordine voluto e, per paradosso, quasi
preordinato. Ad immaginare un dialogo con questi individui
sinistramente zappiani – o sarebbe meglio dire vanvlietiani – crederesti
di trovarti di fronte a dei mostruosi fabbri di allucinazioni,
a personificazioni di quadri di Picasso o a non so quale
sorta di animali musicali degni di un bestiario medievale;
la sorpresa più grande è invece conoscerli:
affabili, un po’ timidi, disponibili al confronto e,
soprattutto, non convenzionali, seppur cordialissimi. La
filosofia che anima la loro produzione sembra rispecchiarsi,
per contrappasso, nel loro atteggiamento. E allora si parla,
si beve una birra e si fuma una sigaretta, in attesa che
salgano su quel palco per rimescolare ancora un po’ gli
elementi dell’universo musicale in un calderone di
pazzia, disperazione e gioia malata.
Iniziamo
dalle basi: da cosa deriva il nome "Thrangh"?
(Atreju)
Nha Trangh è una città Vietnamita.
Da cui Thrangh, una parola onomatopeica, come a dire botta,
sprangata dietro al collo, tranvata, e via dicendo.
Quali sono le origini di un sound dissonante e saturo come
il vostro?
(Atreju) Un milione di ascolti diversi: i miei principali
Zorn, Coleman, Coltrane, Garbarek, Surman ,Art Ensamble Of
Chicago, Zappa, Mr. Bungle...
(Bonanza) ...James White, Captain Beefheart, Glenn Branca,
Fantomas, Zu...
L'affiatamento,
l'amalgama dei vari componenti del gruppo è uno
dei punti di forza del vostro sound. Mi avete parlato, la volta
scorsa, dell'improvvisazione come un punto di forza, anche
quando lavorate in studio. Che valore ha l'approccio al live
set per voi?
(Bonanza)
Il nostro approccio alla composizione è estemporaneo:
in sala prove improvvisiamo liberamente e registriamo tutte
le sessioni. Successivamente riascoltiamo e razionalizziamo
la materia grezza e spontanea, selezioniamo frammenti e momenti
particolari, cercando di riorganizzarli in un linguaggio più organico
tramite un'operazione di cut-up.
Abbiamo
parlato di frames e composizione delle jam in studio, nonché delle due "sezioni" del vostro lavoro
(una più libera, l'altra più ripetitiva e caratterizzata
da una struttura più "classica”): come funziona
questo procedimento?
(Bonanza)
Essendo una band strumentale senza ruoli solisti, quello
che cerchiamo di ottenere suonando dal vivo è soprattutto
l'impatto. Il live set è il momento in cui il procedimento
compositivo giunge al suo epilogo, quando possiamo vomitare
sul pubblico tutta la materia - smembrata e ricomposta - che è venuta
fuori durante le prove.
La
vostra produzione è supportata da un edificio "ideologico",
da un modo di vivere che rispecchi il vostro modo di fare musica
che vada oltre la valenza puramente catartica del "rito
dionisiaco" che mettete in scena?
(Bonanza)
A parte una comune sensibilità estetica,
non c'è nessuna particolare retorica o contenuto ideologico
in quello che facciamo, credo.
(Atreju)
Assolutamente nessuna ideologia, solo l'idea (più o
meno vana) di fare una musica che ci appartenga in assoluto.
Siete
coscienti che sarà difficile riuscire a sfondare
con un suono particolare come il vostro? In questo senso, credete
ci sia una dicotomia inscindibile tra consenso sulla scena
underground e consenso su larga scala?
(Jimbo) Abbiamo la fortuna di affrontare il nostro comune
excursus musicale come una passione piuttosto che come un mestiere:
questo oltre ad allontanarci dall'assumere come modello i diffusi
vincoli di convenzione dell'approccio alla massa, ci consente
di non porgerci proprio la domanda.
(Atreju)
Il consenso, anche minimo, è quello che ti
fa continuare, e noi siamo già molto orgogliosi di quello
finora ricevuto. Non siamo comunque interessati a modellare
la nostra musica per ottenerne di più, consapevoli della
dicotomia di cui parli. Per quanto ci riguarda continueremo
sempre a lavorare nello stesso modo,
creando quello che abbiamo dentro, senza la ricerca di un modello
già definito.
Quando
ci siamo visti per la prima volta, abbiamo parlato del
vostro
approccio alla musica, definendolo - se la memoria
non mi inganna - "dilettantistico", "disimpegnato" e "libero".
Cosa intendete di preciso?
(Atreju)
Non siamo professionisti, facciamo altri mestieri, e questo
probabilmente è un altro punto di forza: nessuno
di noi pensa di campare con la musica.
Avete
mai pensato di “aprire” il vostro sound
ad influenze elettroniche?
(Atreju)
Non ci precludiamo nulla: l’esempio di mostri
sacri come i Kraftwerk, o di certa avanguardia scandinava,
ci affascina molto. In futuro, chissà…
La vostra opinione sul Peer to Peer.
(Atreju)
Ottimo mezzo di informazione musicale: ho scaricato quasi
tutto il catalogo di una nota etichetta oltre numerosi
altri dischi, ma spendo anche molti soldi in album nuovi, ne
avrò almeno 500. In sostanza credo che sia un buon mezzo
contro quei musicisti che fanno solo show-business e sono avidi
di denaro. A tal proposito vorrei portare l'esempio di Steve
Coleman, uno tra i più grandi musicisti contemporanei,
che sul suo sito mette in sharing almeno l'80% della sua produzione
musicale.
I vostri progetti per il futuro.
(Atreju) Continuare a comporre nello stesso modo ma rinnovando
continuamente la musica che facciamo.
(Jimbo) Rispettare la nostra umana predisposizione alla metamorfosi,
sperando di evitare stasi o lunghe soste in cantiere.
Ebbene,
la mostruosa farfalla sta per dispiegare di nuovo le ali.
In attesa dell’ennesima metamorfosi, preparo
gli occhi e le orecchie di novello Ovidio assaporando gli ultimi
istanti di quiete prima della tempesta. Dopo
sarà solo gioia d’essere, decostruzione
fino all’ultima particella musicale. In buona sostanza,
un ritratto fedele dell’universo. Ché probabilmente,
e nonostante le apparenze del primo ascolto, la musica dei
Thrangh è mimesis esaltante, fedele riproduzione del
caos che è origine e fine ultimo di tutto.
Enrico
Piciarelli (DNA Music)
THRANGH
IL CASTIGO ESEMPLARE
Recensione Demo
C'è un interesse crescente intorno a questo gruppo romano, ragione per
cui ospitiamo la recensione anche se non c'è traccia di doom, stoner,
fuzz o di Gibson SG tra questi solchi. Ma del resto i confini di Perkele
sono labili, aperti, e la buona musica non va mai sprecata.
Su Thrangh verrebbe d'istinto da pensare al termine jazzcore, se non fosse
che il termine non ci comunica nulla e che non basta un sax nell'organico
per fare jazz (cosi come non basterebbe una chitarra elettrica per fare rock).
Diciamo piuttosto che i Thrangh fanno parte di quella schiera di persone
interessate
a mescolare jazz, rock, funk, fusion, senza confini - come prime movers quali
Iceburn (qualcuno ricorda "Poetry of Fire"?) e Minutemen hanno saputo
fare tra '80 e '90. Ma immaginiamo che i loro ideali riferimenti affondino
ben più indietro nel tempo e nello spazio, probabilmente a quelle "Direzioni
in Musica" dettate tra '69 e '75 dallo Sciamano Elettrico Davis.
Comunque sia, "Il castigo esemplare" è un disco sorprendente.
Il gruppo è preparato, e probabilmente i pezzi sono frutto di una lunga
gestazione. Registrato in una seduta dal vivo, il lavoro è un piccolo
magma sonoro in 8/9 movimenti. Le tracce sono divise in realtà solo
per convenzione, perché il percorso è unico. Difficile quindi
mettere in evidenza singoli passaggi, si può piuttosto provare a tracciare
qualche impressione. Basso e batteria descrivono una robustissima sezione ritmica,
scandiscono tempi pari e dispari (più i secondi che i primi!), incessantemente.
Sopra di essi si elevano chitarra e sax, utilizzati con controllo e intelligenza
notevole. La prima è quanto mai versatile, passa da riff metal ad accordi
funky, tracce di guitar-synth, settime aumentate (e diminuite). Il sax riempie
gli spazi melodici tra i brani, assicurando continuità ed un timbro
più personale al gruppo. In particolare menzioniamo la traccia 4/5,
dove ad una intro arpeggiata seguono sax e guitar synth che disegnano una figura
di ampio respiro: vero funky futuribile. La qualità della registrazione è ottima,
agevolata peraltro dal tecnica non indifferente dei membri del gruppo. Ma i
Thrangh sanno andare al di là della tecnica pura e, merito ben maggiore,
sanno fondersi in un unicum senza solismi disperati. Feeling e disciplina
sono quello che contano, soprattutto.
Le loro direttrici musicali? Diciamo un quadrilatero ai cui lati ritroviamo
Coltrane, Zorn, Area e Mahavishnu Orchestra. Con le dovute proporzioni, sia
chiaro. Il castigo esemplare, peraltro, è solo un punto d'inizio. E
Thrangh una nuova realtà destinata a crescere (i consensi stanno arrivando,
la rassegna MArteLive li ha già premiati). Menzione speciale per la
citazione di Lautréamont in retrocopertina. Da questi, forse, i Thrangh
hanno imparato l'arte della metamorfosi.
Sergio
Aureliano Pizarro (Perkele.it)
THRANGH: IL CASTIGO ESEMPLARE!
Martelive
08/07/05
Neanche ti sei seduto e una raffica di colpi ti ha già steso.
E’ iniziato il concerto dei Thrangh, un delirio senza
sosta.
Batteria, basso, chitarra e sassofono, 4 strumenti letteralmente
violentati, fino a fondersi completamente l’ uno con l’altro, in una
musica ostica, spigolosa, sempre nuova che tiene l’ascoltatore
costantemente col fiato sospeso.
Questi quattro ragazzi sono entrati al MarteLive in punta di piedi,
e ne escono vincitori.
Il loro avant-rock è miscela di progressive, crossover , free-jazz
con forti echi di Crimsoniana memoria, che prende spunto da gruppi
estremi come gli Zu e i Fantomas e che ha conquistato la giuria e,
a sorpresa, anche il pubblico del MarteLive.
Non c’è voce ma solo un urlo disperato, di dolore e liberazione
allo stesso tempo, a chiudere la loro unica, lunghissima canzone e
a permettere al pubblico di richiudere la bocca e riprendere conoscenza.
Tommaso Armati (Musica
MArteLive)
Come raggiungere la pace dei sensi attraverso il Rumore.
Martelive 08/06/05
Thrangh: un quartetto di schizzati composto da batteria, chitarra,
sax e basso che esplodono letteralmente in un baccanale di suoni
ed influenze mischiati in frames grandinanti. Visivamente eterogenei
(ho istituito sul momento il premio “maglietta più inquietante
dell’anno”, da assegnare al sassofonista honoris causa),
i quattro fanno sul serio. Non c’è armonicità,
non c’è melodia: ogni piccolo accenno di una struttura
definita, che per intensità quasi potrebbe venire accostata
ad un prog acido, viene puntualmente spazzato via dalle bordate
sonore di un sax assassino ed isterico, di un basso scabroso e
di una batteria belluina. C’è tanta roba qua dentro,
forse più di quanta non immaginino neppure i Thrangh. C’è il
Miles Davis epilettico di “On the Corner”; c’è la
totale assenza di melodia delle sgrammaticature di un Captain Beefheart;
la commistione tra suoni rozzi e primordiali dei Morphine. Caos,
disarmonia: la gioia catartica del duello tra basso e batteria,
durante la seconda parte dell’esibizione, è il manifesto
del sound dei Thrangh. Un pastiche dionisiaco fatto di isteria
frenetica, un urlo liberatorio e primordiale (proprio come quello
che chiude l’esecuzione della lunga jam) che è figlio
dell’improvvisazione e dell’unione di quattro differenti
individualità, delle quali nessuna assume il ruolo di protagonista
indiscusso. “Sister Ray” riveduta, arricchita, corretta
e ancor più primitiva nella sua complessità. A pensarci
bene, la totale assenza di assonanza ritmica è compensata
dalla perfetta – perché non iscritta in canoni e stilemi
di sorta – commistione tra i diversi talenti dei ragazzi:
un equilibrio fragilissimo che non viene scalfito dalla verve animalesca
che pervade l’esibizione tutta. Fantastici, mi lasciano scosso:
stento a credere che non abbiano ancora inciso nulla. Barcollo
verso l’uscita, mentre m’accorgo che l’intermezzo
teatrale prevede una rappresentazione della meravigliosa Livella
di decurtisiana memoria. Pare insomma che i Thrangh siano riusciti
a risvegliare anche i morti, nonché a sconvolgere il clima
globale scatenando un acquazzone storico – che tutto m’investe,
visto che mi trova lì fuori ad attenderlo per la proverbiale
paglia post esibizione.
Ancora debbo riprendermi: le tempie fanno male.
Enrico Piciarelli (DNA
Music)
Welcome to the sonic temple...
Sonica,
06/05/05
Capitolo THRANGH.
Quando salgono sul palco gli avant-naive il pubblico è assai
caldo e propenso al godimento auricolare. Chitarra-sax-basso-batteria
compongono il quartetto, proveniente da esperienze di nicchia in ambito
locale. L'amore per la sperimentazione avanguardista - uno spiccato
senso musicale - un'amalgama invidiabile ed un fragoroso background
metallico - compongono il puzzle dei Thrangh. Circa 45' di set senza
sosta. Un viaggio da vivere tutto d'un fiato. Piace sicuramente di
più la seconda parte. Appare molto fluida, sicura, varia e cerebrale.
Perfetti nell'esecuzione, si distinguono anche loro per la quasi totale
assenza di partecipazione con l'audience (che nel frattempo si è fatta
scalmanata oltre modo e poco ricettiva - sarà colpa della flanella
o di quel maledetto fumo lecito?). Un crescendo rossiniano che mette
in luce quanto nell'ombra abbiano pesato gli amori per Zorn e Patton,
ma che nulla tolgono alla capacità autorale e musicale dei
nostri.
Tutti gli altri dovrebbero imparare da questo atipico venerdì sera.
In una città confinata ai margini, per colpa di scarso coraggio
e scarsa competenza, questo 6 maggio dimostra come il Sonica, i Thrangh,
i LPET e tutti quelli che hanno lavorato dietro le quinte, abbiano
finalmente assestato un bel calcio su per il culo all'opulenza.
Emanuele Tamagnini (Nerds
Attack!)
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